Nel lager libico di Ain Zara sono reclusi i rifugiati che protestavano davanti all'ufficio di UNHCR a Tripoli. La loro vita ora è sul pavimento di uno squallido capannone. Uno di loro invita tutti a restare uniti. In piedi, con le braccia alzate, parla a tutti: "Unità significa che una persona
è unita con un'altra, significa che se voglio qualcosa da qualcuno, posso ottenerlo, e la stessa cosa se qualcun altro ha bisogno di me, allora è mio dovere darlo, e tutto ciò che desidero da Dio è che Egli ci aiuterà tutti e ci tirerà fuori da questa situazione difficile"
Notizie storico critiche
Il lager libico di Ain Zara si trova a Tripoli. Qui hanno rinchiuso, dopo una serie di retate, le persone accampate davanti all'ufficio di UNHCR in un sit-in di protesta iniziato ad ottobre 2021.
Nei lager libici non ci sono letti e si dorme sul pavimento.
La legge libica 19/2010 prevede, per
gli stranieri irregolari in Libia, la detenzione a tempo indeterminato con lavori forzati. Generalmente questa detenzione avviene in centri come quello di Ain Zara. Le celle sono capannoni dove vengono ammassate persone sul pavimento. Il bagno è spesso solo uno ed intasato. Il cibo viene consegnato al massimo una volta al giorno ed è costituito da pastina scondita, servita in ciotole collettive poste in terra. In questi campi di concentramento vengono recluse anche 1900 persone (come avvenne a Tarek al Mattar nel 2018).
Ad Ain Zara, come in altri lager, le donne vengono tenute in un capannone a parte, dove non sono ammessi telefoni cellulari. Ciò impedisce loro di denunciare le ripetute violenze sessuali subite.
Nei capannoni maschili, al contrario, i telefoni sono ammessi. Sono le guardie a venderli. Generalmente una volta al mese li rubano ai rifugiati, per poi rivenderli agli stessi.
I primi di giugno 2022 nel lager di Ain Zara si è suicidato uno dei rifugiati detenuti, il diciannovenne Mohamed Mahmoud Abdulaziz si è impiccato nel cortile e le guardie hanno lasciato il suo corpo appeso per circa 24 ore.
Nelle immagini: i migranti detenuti. Non rischiano ad essere inquadrati.
L'autore del video rischia, ma ha deciso di diffondere i suoi video. Malik è uno dei sopravvissuti al respingimento Asso Ventinove del 2 luglio 2018. Suo fratello affogò nel naufragio del loro gommone. Vennero presi dalla nave battente bandiera italiana, che promise loro di portarli in Italia e invece, su ordine della Marina Militare italiana, in totale segreto, li deportò a Tripoli. Alcuni dei sopravvissuti stanno facendo causa al governo italiano per questo respingimento illegale.