e 16 maggio 2003.
La figura dell'affabulatore veste i panni di un operaio della fine della seconda guerra mondiale: Fausto, operaio assunto per caso, raccoglie le confidenze del suo capoforno, trasformando la fabbrica nello spazio della memoria di un'intera comunità. Il capoforno parla della sua famiglia. Per il capoforno la fabbrica ha un suo centro e questo centro è l'altoforno. La fabbrica lavora per il buon funzionamento dell'altoforno che manda avanti lo stabilimento. L'antica fabbrica aveva bisogno di operai d'acciaio. L'età di mezzo ha conosciuto l'aristocrazia operaia con gli operai anarchici e comunisti che neanche il fascismo licenziava perché essi si rendevano indispensabili alla produzione di guerra. Ma l'età contemporanea ha bisogno di una fabbrica senza operai. Una fabbrica vuota dove gli unici operai che la abitano sono quelli che la fabbrica non riesce a cacciare via. I deformi, quelli che nella fabbrica hanno trovato la disgrazia. Quelli che hanno sposato la fabbrica lasciandole una parte del loro corpo, della loro storia e della loro identità.
Celestini ha raccolto testimonianze orali e le ha intrecciate a materiali d'archivio: storie isolate, frammenti di racconti che ruotano tutti attorno al vissuto fisico della fabbrica. Chi racconta il lavoro racconta qualcosa del proprio corpo. Come se per parlare di ciò che è accaduto si dovesse tradurre in un linguaggio i cui riferimenti sono la malattia e la salute, la bellezza e la deformità, la forza e la debolezza. E ponendo il tutto sul terreno epico dello scontro sociale Chiudi